Lo sport ci insegna che nel volgere di poche stagioni si possono stravolgere gerarchie consolidate. Lo ha dimostrato il Settebello nella pallanuoto, da undicesimo a primo ai Mondiali nel giro di due anni. Lo sta dimostrando anche la nazionale dell'alchimista Cesare Prandelli, l'uomo che sta realizzando l'apparentemente improba missione di cambiare la cultura calcistica italiana.
Solo nel giugno 2010 la selezione tricolore usciva mestamente dalla rassegna iridata sudaricana, tra le peggiori di sempre con i pareggi contro Paraguay e Nuova Zelanda e l'ingloriosa sconfitta con la Slovacchia. Poco più di 13 mesi dopo, l'Italia non solo è quasi certa della qualificazione agli Europei del 2012, ma anche pareggiato in amichevole con la Germania e battuto i campioni del mondo della Spagna.
I disastri dell'era Lippi-bis sembrano appartenere alla Preistoria: ora gli azzurri, ormai fuori dal tunnel oscuro che avevano imboccato, possono guardare al futuro con rinnovate ambizioni.
Nel successo sulle Furie Rosse ha colpito principalmente un aspetto della selezione tricolore: la gestione del pallone. Nell'arco dell'intero match, infatti, non vi è stato un solo lancio lungo; sin dal reparto arretrato, al contrario, si è cercato sempre di creare gioco, non sprecando neppure un possesso. La squadra, nel complesso, ha denotato grande qualità, dalla quale è sfociata un'azione armoniosa e rapida, fatta di tocchi rapidi e precisi. L'Italia, inoltre, è risultata ficcante in fase offensiva, con repentine verticalizzazioni che sovente hanno messo in difficoltà la difesa iberica. E' piaciuto anche l'atteggiamento in fase di copertura, con i vari reaparti coesi nell'arginare le ripartenze avversarie (salvo che nel finale di gara quando è emersa l'inevitabile stanchezza agostana).
Nel primo tempo, addirittura, l'Italia ha dominato la Spagna grazie ad un pressing continuo e, soprattutto, organizzato, che ha incrinato le certezze della Roja sin dalle fondamenta. L'impressione, dunque, è che la rivoluzione prandelliana sia in piena realizzazione, con i giocatori che seguono alla lettera le indicazioni di un vero e proprio vate che sta imprimendo una svolta storica al nostro calcio obsoleto e da sempre poco incline alle innovazioni.
Se prima la nostra caratteristica principale era rappresentata dalla solidità difensiva (grazie alla quale si sono vinti i Mondiali nel 2006), ora l'imperativo è quello di creare calcio, coniugando estetica e concretezza. La metamorfosi si sta rapidamente compiendo.
Federico Militello
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