Missione compiuta. La nazionale italiana di hockey sul ghiaccio si è aggiudicata il primo posto nel Mondiale di prima divisione disputato a Budapest, riconquistando al primo tentativo la promozione in Serie A, dove il prossimo anno sarà presente tra le magnifiche sedici del globo nella rassegna iridata in programma in Svezia e Finlandia. Tra i confini magiari la selezione tricolore è parsa galoppare a regime ridotto nelle prime e meno impegnative gare contro Spagna, Olanda e Corea del Sud, pratiche archiviate senza patemi, pur senza brillare. Nel match decisivo contro i padroni da casa, spalleggiati da un agguerritissimo pubblico di 10000 spettatori, l'Italia ha sfoderato il suo vero potenziale, costruendo più occasioni da rete rispetto agli avversari e rivelandosi complessivamente superiore sul piano tecnico-tattico-organizzativo. Un successo meritato ed importantissimo per il movimento nostrano, che guarda al futuro con rinnovate ambizioni. La formazione del ct Rick Cornacchia, infatti, si è presentata notevolmente ringiovanita rispetto al passato, con abbandoni di giocatori fondamentali come Parco, Ramoser e Margoni. Il più promettente della rosa, Marco Insam, ha fornito delle prestazioni altamente positive, denotando già una buona maturità agonistica a fronte della giovanissima età (22 anni). L'Italia può contare su due portieri di livello assoluto come Daniel Bellissimo e Thomas Tragust, mentre in difesa si segnalano gli alti standards di rendimento sciorinati da Armin Helfer, autore del gol decisivo, ed Armin Hofer, 24enne in progressiva ascesa. Il reparto arretrato ha fornito complessivamente delle ottime impressioni, sostenuto anche dall'esperienza e dalla tenacia degli oriundi Matt De Marchi e Nick Plastino. Più che discreto anche il debutto del giovane Thomas Larkin, dotato di grande velocità e senso della posizione. Gli attaccanti, pur stentando nelle prime apparizioni, hanno fornito un apporto decisivo nell'ultima e decisiva sfida. In particolare si è confermato imprescindibile per questa nazionale l'italo-canadese Giulio Scandella, capace di rendere sempre imprevedibili le avanzate azzurre grazie ad estro e personalità decisamente spiccati. Il Bel Paese, dunque, torna tra le grandi con l'obiettivo non solo di restarci, ma di scalare il più possibile il ranking mondiale. Sin dal prossimo anno la rosa si arricchirà di rinforzi di cristallina qualità: dai giovani autoctoni Federico Benetti, Anton Bernard e Simon Kostner, in Ungheria assenti per infortunio, sino ai formidabili oriundi Rob Sirianni, Dave Borrelli e Luciano Aquino (convocabile già quest'anno, ma tiratosi fuori dalla rassegna iridata per incomprensioni con la Federazione), tre attaccanti in grado di cambiare radicalmente il volto della squadra. Alle spalle della formazione seniores, inoltre, giungono ottime notizie anche dagli under18, secondi dietro ai padroni di casa nel Mondiale di prima divisione disputato in Lettonia. Insomma, nel prossimo triennio l'Italia lancerà la sua ambiziosa sfida: ingresso nella top10 globale e qualificazione alle Olimpiadi di Sochi 2014.
Per molti anni il beach volley tricolore ha vissuto di speranze ed improvvisazioni, considerato un fratello minore e meno prestigioso della pallavolo indoor. Finalmente il vento è cambiato ed è stato avviato un nuovo corso. I giocatori non si cimentano più in questa disciplina nei soli mesi estivi, ma svolgono svariati collegiali nell'arco di tutto l'anno. Inoltre la guida delle selezioni azzurre è stata assegnata a due tecnici stranieri, l'americano Michael Dodd per gli uomini ed il brasiliano Dias Carvalho Lissandro per le donne, due allenatori in grado di apportare importanti contributi sia sul piano tecnico sia su quello della mentalità. I Mondiali in programma a Roma nel mese di giugno, poi, non potranno che accrescere ulteriormente la passione e l'interesse della gente. Sul piano dei risultati, cominciano a maturare le prime prestazioni di livello internazionale: il settimo posto dei promettenti Paolo Nicolai e Daniele Lupo nella prima tappa del World Tour in Brasile, conseguito dopo aver prevalso su coppie di elevato spessore, rappresenta una solidissima base di partenza per avvicinare nel volgere di breve tempo i tre gradini del podio. Non è escluso che nella rassegna iridata casalinga, potendo contare anche sui fratelli Ingrosso e sulle solide Cicolari-Menegatti, l'Italia possa ambire al titolo di rivelazione del torneo, magari sognando uno storico ingresso in semifinale.
I due bronzi conquistati agli Europei di Istanbul non evitano un giudizio insufficiente al judo italico. Il bilancio è deficitario, non tanto se paragonato a quello del 2010, quando i podi nelle prove individuali furono tre, quanto perché nessuno dei nostri atleti ha mai dato veramente l'impressione di poter vincere il titolo. I judoka tricolori cedono inesorabilmente il passo ogni qual volta affrontano dei rivali russi o francesi, al momento di un livello decisamente superiore. In alcune circostanze, inoltre, le sconfitte sono maturate anche con avversari di rango ben più modesto. L'attuale direzione tecnica pare ancorata ai retaggi del passato, mentre nel frattempo l'Europa ed il Mondo si sono evoluti in maniera esponenziale. Sul sentiero di Londra 2012 sei italiani occupano al momento un posizione nel ranking globale tale da non dover correre eccessivi rischi: Verde, Ciano, Bagnoli, Bianchessi, Quintavalle e Barbieri. Tra questi, tuttavia, i soli Verde e Quintavalle, almeno attualmente, possono cullare qualche ambizione da podio. Ricordiamo, inoltre, che nel judo moderno è diventata paradossalmente molto più agevole una Olimpiade rispetto ai Mondiali ed agli Europei: nella prima, infatti, ogni nazione può schierare un solo atleta per categoria di peso, mentre il numero sale a due nelle rimanenti competizioni, con conseguenze facilmente immaginabili (monopolio giapponese in campo planetario e transalpino in quello continentale). Dunque a Londra potrebbe aprirsi qualche spiraglio in più per gli italiani. Desta scalpore, tuttavia, la pessima gestione dei tanti talenti rosa emersi nelle passate stagioni: Gwend, Forniciti, Moscatt e Moretti, dopo i successi da juniores e le prime affermazioni tra le seniores, si sono inspiegabilmente eclissate da ormai molti mesi, palesando una evidente involuzione che ha già in parte compromesso le chances di qualificazione ai Giochi. La domanda sorge spontanea: per quale motivo, in diverse discipline, i giovani italiani faticano ad emergere nel salto dalle categorie giovanili a quelle maggiori? Si arriva tra i 'grandi' già appagati per i successi ottenuti e magari soddisfatti per l'ingresso nei vari corpi militari? Oppure qualcosa non quadra a livello tecnico-dirigenziale?
Federico Militello
finalmente leggo in te, caro federico, la vera anima del giornalista, e soprattutto del giornalista libero dei blog liberi, che non scrive solo per informare, ma si chiede anche che succede, analizza e se nevessario denuncia, logicamente per contribuire a migliorare le cose. Da anni io mi chiedo perchè le nostre centinaia di giovani atleti che conquistano allori in tutti gli sports, poi faticano quais tutti a fare il salto di qualità, mentre in paesi che fino a poco fa tenevamo a debita distanza e che invidiavano il nostro modello, adesso fioccano talenti a bizzeffe anche in campo assoluto. Dopo varie disamine e analisi io credi di giungere a questa concluisione: i nostri giovani si impegnano al massimo nelle categorie juniores perchè acquistano i benefit vari, orimo fra tutti lo stipendiuccio militare per tutta la vita, poi soddisfatti si cullano sugli allori facendo quel tanto che basta per rimanere a fare la stupenda e comoda vita di atleta.
RispondiEliminapio napolitano
Sono d'accordo, rispetto al passato manca la 'fame', la voglia di primeggiare, di sentirsi i migliori. Se ci si adagia, automaticamente si diventa normali. Il campione, invece, è colui che ricerca continuamente i propri limiti. Andrebbe cambiato il sistema: i benefit ed i premi, infatti, andrebbero conferiti soltanto in base ai risultati conseguiti. Questo fungerebbe da stimolo per provare ad imprimere una svolta alla carriera
RispondiEliminaNon conosco in particolare il judo ma, secondo me, in alcune discipline i quadri tecnici non sono al livello di quelli di altre nazioni; spesso ho sentito dire che gli allenatori italiani "sono i migliori", "sono il vanto del movimento", sono ciò che "tutto il mondo ci invidia", anche nelle discipline dove l'Italia ha poca (o addirittura nessuna) tradizione. Potrei portare l'esempio di campioni affermati che, cambiato l'allenatore, hanno rischiato di scivolare nella mediocrità....
RispondiEliminaNon credo che un giovane appena entrato in un corpo militare si senta subito appagato; forse è uno stato d'animo che può subentrare col tempo, quando i risultati tardano ad arrivare, ma secondo me è più probabile che in altre nazioni gli allenatori siano più bravi e riescano a ottenere risultati migliori. Questo, secondo me, nello sport italiano di vertice è un problema diffuso: si pensa che i nostri allenatori siano i migliori anche quando quest'asserzione è tutta da verificare. A volte affidarsi umilmente a un gruppo di tecnici stranieri può migliorare la qualità del movimento.
Ripeto, non conosco il caso judo, ma in altre discipline sicuramente ho constatato che i talenti non sono stati adeguatamente accompagnati verso il salto di qualità.
Gabriele
Claro, questo è un mito che va sfatato. Certamente in alcuni sport gli allenatori italiani sono i migliori al mondo (scherma, pallavolo, calcio, tiro a volo), in altri, tuttavia, bisogna riconoscere che gli stranieri sono superiori per conoscenze e tradizioni, quindi non bisogna vergognarsi di affidare le proprie squadre a tecnici non autoctoni. E' tutto un processo di crescita. Si parte dallo straniero (come fu ad esempio Velasco nel volley), per poi garantire uno sviluppo complessivo a tutto il sistema.
RispondiEliminaBuona giornata
Infatti è così; a volte anche nella scherma un tecnico straniero ci ha fatto fare il salto di qualità (vedi Bauer nella sciabola). E il CONI dovrebbe vigilare sempre con attenzione sul lavoro di una federazione. Ci sarebbe tanto da dire anche sulla ripartizione dei soldi tra le federazioni, perché quello, secondo me, può essere un altro fattore di crescita o di mancata crescita dei giovani. Magari ne riparliamo in un'altra occasione.
RispondiEliminaGabriele