5 medaglie il bottino complessivo dell'Italia ai Giochi Olimpici di Vancouver: un oro (Razzoli), un argento (Piller Cottrer) e tre bronzi (Zoeggeler, Pittin e Fontana). La delegazione azzurra vinse lo stesso numero di medaglie a Calgary 1988, segno che nel destino italico il Canada non rappresenta una terra di grandi raccolti. Da Albertville 1992 a Torino 2006, poi, i metalli preziosi sono sempre stati pari o superiori a 10. Infine, l'Italia esce per la prima volta dalle prime 10 del medagliere trent'anni dopo Lake Placid 1980 (16ma). Visti i presupposti, quindi, sarebbe scontato ritenere che si sia trattato di un'edizione a cinque cerchi fallimentare. Tuttavia mi sento di affermare che l'Italia merita una sufficienza, seppur tirata. Le Olimpiadi post-casalinghe da sempre e per qualsiasi nazione sono coincise con un periodo di appannamento e di transizione. In Nord America, poi, alcune medaglie sono sfuggite solo per l'inezia di qualche centesimo: 3 bronzi in più, ad esempio, avrebbero cambiato il volto del medagliere. Da Vancouver, inoltre, è stata delineata la linea da seguire per il futuro: puntare sui giovani. Le medaglie più belle ed inaspettate, per l'appunto, sono giunte da un giovanissimo carnico come Alessandro Pittin (20 anni), dalla piccola ma graffiante Arianna Fontana (19 anni) e dal potentissimo e talentuoso Giuliano Razzoli (25 anni). Quest'ultimo in particolare potrebbe fungere da traino per l'intero movimento sciistico italiano, poiché, oltre ad una grande classe, possiede le caratteristiche del grande personaggio, proprio come il suo corregionale Alberto Tomba. Oltre ai medagliati, inoltre, si sono espressi altri giovani talenti come Dominik Paris e Johanna Schnarf nell'alpino, Silvia Rupil nel fondo e Cappellini-Lanotte nella danza sul ghiaccio. Il materiale umano in Italia è immenso, servono però degli investimenti mirati, che sappiano far crescere gradatamente i giovani sin dai 17-18 anni. Le controprestazioni dei veterani, infatti, hanno mostrato come non è lecito attendere oltre: è necessaria una rifondazione ad ampio raggio, che dovrà partire dal basso. Devono cambiare, in primo luogo, le metodologie di allenamento: nell'alpino, ad esempio, bisogna istruire i giovani alla polivalenza, così come nel fondo urge specializzarsi anche nella tecnica classica, da troppi anni tallone d'Achille azzurro.
Insomma, una flessione rispetto alle precedenti ed esaltanti edizioni può considerarsi fisiologica ed era da mettere in preventivo. Tuttavia l'Olimpiade azzurra è stata nel complesso dignitosa e da Vancouver si può ripartire con ottimismo per tornare di nuovo grandi a Sochi 2014. I talenti giovani, come detto, non mancano: ora valorizziamoli.
Federico Militello
Azzardando un paragone con la scienza economica, dopo una fase di flessione fisiologica sono necessari adeguati investimenti in tecnologia e capitale umano con elevata produttività marginale e per sostenere la ripresa.
RispondiEliminaMolti complimenti all'autore per la sua accurata analisi e la competenza in materia.
Perfettamente d'accordo con l'analisi fatta. Complimenti!
RispondiElimina...non lo so. Ad esempio in campo calcistico, a Berlino 2006, eravamo tra le Nazionali con l'età media più alta (se non ricordo male eravamo secondi solo alla Francia).
RispondiEliminaIo la vedo più come un fatto di sfortuna: noi abbiamo sempre avuto dei Campioni (in ogni specialità e magari anche in età non più florida...) che portavano a casa un bel bottino, addesso non è proprio così.Ad esempio nello sci alpino gli austriaci hanno sempre avuto una corazzata, noi - purtroppo -dobbiamo aspettare il Campione (Thoeni o Tomba non nascono ogni anno). Speriamo in Razzoli!
Termino: se Zoeggler e Piller Cottrer (e non me la sto prendendo con loro, sono miei coetanei...) avessero portato a casa l'oro ora non saremmo qui discutere...
Massimiliano